Dapprima pastello, poi indaco, il blu è stato per molto tempo oggetto di tutti i desideri, in quanto il pigmento è capriccioso, quasi quanto i re che lo indossano.
Le prime tinte per tessuto vengono dal guado (isatis tinctoria), una piante dai fiori gialli che cresce naturalmente in Asia e nell’Europa del sud.
L’estrazione del suo colore è particolarmente difficile da ottenere.
Il pastello segue un processo complesso, esigente e per molto tempo tenuto segreto.
Le foglie sono raccolte a mano tra giugno e ottobre.
Una volta lavate e seccate, esse sono macinate con il mulino fino ad ottenere poltiglia densa.
Due mesi dopo, quando è secca, la pasta è impastata fino a formare delle palline rotonde della grandezza di un pompelmo, chiamate cocagnes.
Queste, a loro volta, devono seccare per altre cinque – sei settimane prima di essere aperte per scoprire il loro colore violaceo.
È allora il momento di ritornare al mulino, dove si ottiene una polvere grossolana, mescolata a dell’urina ( 🙁 ) e a dell’acqua stagnante per una seconda fermentazione.
Girata regolarmente, questa poltiglia dall’odore nauseabondo permette, dopo cinque mesi e pazienza e di lavoro, di ottenere il colorante sotto forma solida.
È questo savoir-faire e il tempo che domanda la sua estrazione che fanno del blu pastello un pigmento raro e costoso.
Senza contare che ci vuole una tonnellata di guado per produrre due chili di pigmento.
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